VACLAV HAVEL – “L’Opera dello Straccione e altri testi” – Garzanti
“Nell’autunno del 1963 l’atmosfera culturale piuttosto stagnante di Praga, la “città d’oro”, che sembrava immersa in un sogno destinato a durare immutato nei secoli, come le statue di Braun che dal ponte di Carlo si specchiano nella Moldava, fu improvvisamente scossa da un fremito: un giovane e sconosciuto autore, approfittando dell’allentarsi dei freni della censura, frutto tardivo di una cauta destalinizzazione, aveva portato sulla scena di un teatrino sperduto nei vicoli della Città Vecchia una commedia che pochi avevano visto – il teatro aveva solo duecento posti – ma di cui tutti parlavano e che tutti volevano vedere.” Sembra l’incipit di una favola, ma è l’inizio della Postfazione di Gianlorenzo Pacini.
“Dorme la Pannonia, fra il latrato dei cani, lo stormire delle foglie e l’odore del concime che corrode le narici…”
“Immenso Conrad che come nessuno sapete fermar sulla carta il palpito ambiguo dell’ora e i mille toni del cielo e del mare in quella cangiante e un po’ mefitica vaporosità diffondendo i tormenti degli animi perseguitati; suadente Conrad che come nessuno sapete fondere l’analisi psicologica e l’avventura con il risultato inquietante di rendere familiare l’esotico; sottilissimo Conrad che come nessuno distillate la macerazione morbosa nella purezza di uno stile regale; sì, voi, biografo della vergogna e notomista della perplessità: i vostri libri mi hanno insegnato che il valore di un uomo va dimostrato, e che non sempre le illusioni eroiche della gioventù sopravvivono alla prova: la prova fatale, quel momento che può giungere presto o tardi, che può essere inaspettato o previsto, grandioso od oscuro, ma che sicuramente arriva per tutti, e quando arriva dev’essere riconosciuto perchè non si presenterà una seconda volta.” (Michele Mari, “Otto scrittori” in “Tu, sanguinosa infanzia”)
“Sapere le cose significa la morte, così come il non saperle”
“Franz non è adatto a vivere. Franz non guarirà mai. Franz morirà presto. Di certo tutti noi siamo apparentemente adatti a vivere. Perchè ci siamo rifugiati nella bugia, nella cecità, nell’entusiasmo, nell’ottimismo, in una qualche convinzione, nel pessimismo, oppure in qualcos’altro ancora. Ma lui non si è mai rifugiato in nessun ricovero sicuro. E’ assolutamente incapace di mentire, così come è incapace di ubriacarsi. Non ha il benchè minimo rifugio, non ha asilo. Perchè è esposto a tutto ciò di fronte a cui noi siamo protetti. E’ come se fosse nudo fra persone vestite. Non che sia tutto vero ciò che dice, ciò che è, ciò che vive.
“Non è possibile muoversi altrimenti che con gran lentezza, un passo alla volta; e tra un passo e l’altro ci son tutte le debolezze, tutte le remissioni, tutti gli errori, sia pure nobili, di cui ci macchiamo. Non è una dottrina, non una verità imponente quella che le sto esponendo ma forse, come le dicevo, è un cenno, un piccolo aiuto… Voglio dire, il bene e il male non si differenziano tanto nelle relazioni degli uomini tra loro, quanto nella posizione dell’uomo di fronte a se stesso.”
“Una cosa è certa: chi riesce a raggiungere le vette più alte è uno che conosce bene anche i più impenetrabili abissi”
“Non puoi neppure immaginare quanto profondamente si imprima in me tutto quello che dici. Le tue parole stesse sono come maestosi, quieti spazi nei quali edifichi ed innalzi qualcosa. Come potrò mai liberarmi dal ritmo misurato della malinconia che incede, sul quale hai costruito la tua visita, il tuo testamento? Volevo poi dirti che possiedo un orecchio interiore, una sorta di profonda attenzione, primigeniamente, eternamente all’erta, con la quale sono restato ad attendere tutta la vita, con la quale ho aperto centinaia di lettere e altrettanti incontri come fossero lettere. Voglio dire che mi sono venute incontro molte cose grandi, rare, pure e forse anche tali da arricchirmi e da ispirarmi. Ma appunto “incontro”. In questo caso, invece, si tratta di un tranquillamente maestoso “accanto”, tu sei in qualche modo parte di quella stessa entità che fa sbandare di qua e di là tutto il mio destino.”
Elogio della femminilità. I libri di queste donne russe che sono state al fianco dei loro uomini durante la loro vita, non all’ombra, al fianco, conducendo nello stesso tempo con passione e competenza il loro lavoro (Antonina Nikolaevna era ingegnere edile e si occupava, tra le altre cose, della realizzazione della metropolitana di Mosca), che hanno creduto insieme ai loro uomini che la rivoluzione potesse cambiare in meglio il loro mondo, che hanno vissuto con loro l’ingiustizia incomprensibile e la tragedia delle purghe staliniane, le efferate conseguenze del “culto della personalità” e che, infine, da sopravvissute, hanno continuato ad accudire, con la stessa cura, i figli e le opere dei loro uomini, sono tra le cose più preziose della mia libreria.
“Se non fosse per gli sterpi o le fraterne pazienti erbe simili a uomini infelici, la steppa sarebbe intollerabile; ma il vento vi porta il seme della moltiplicazione e l’uomo procede con il cuore pesante verso il comunismo.”