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letteratura sudafricana

Coetzee, “Vergogna”

J. M. COETZEE – “Vergogna” – Einaudi

Vergogna e disonore. Che cosa è così vergognoso nella vicenda raccontata da Coetzee, che cosa è irrimediabile e imperdonabile al punto da non poter essere cancellato neppure dal più sincero pentimento? In questo bellissimo romanzo vergogna sociale e individuale si fondono, si motivano, si sostengono e, come in un circolo vizioso, non indicano una possibile via d’uscita, un’altra strada percorribile. Bisogna vergognarsi di aver creato un mondo (in questo caso il Sudafrica post-apartheid) dove vivere è pericoloso, dove bisogna difendersi dall’aspirazione alla vendetta, dall’odio atavico di chi ha ereditato il senso dell’ingiustizia e dell’oppressione dalle generazioni precedenti; bisogna vergognarsi di aver creato una società perbenista, pronta a gridare allo scandalo, che dello scandalo si nutre, che sembra godere dell’umiliazione altrui; bisogna vergognarsi dell’esistenza di tutte quelle famiglie “esemplari” che accolgono il reprobo, solo per vederlo inchinarsi di fronte alla loro perfezione con occhi attoniti e scostanti. E poi c’è lui, David Lurie. Di che cosa dovrebbe vergognarsi? Certo, di aver adescato una sua giovane studentessa. Ma dopo le prime pagine diventa sempre più evidente che per Coetzee questo episodio è solo un pretesto.

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letteratura americana

Poe, “Racconti”

EDGAR ALLAN POE – “Racconti” – vol. II, BUR

“Lasciate che mi chiami per il momento William Wilson”. Un incipit, una frase che ci porta immediatamente sull’orlo del baratro, ce lo fa intravedere, ci mostra gli esordi della somma inquietudine, del demone più terribile che si nasconde dietro ai paraventi della realtà. Poe lo fa usando con la sua solita grandissima perizia le armi del suo mestiere. Questo signore delle atmosfere, capace di graduare l’incubo, di modellare l’attesa, di suscitarlo con i suoi ritmi. Si può perdere tutto, ma non se stessi; si può provare il dolore dell’abbandono, del disprezzo, della solitudine; si può soffrire nel corpo e nell’anima, ma la sofferenza più grande è la vita priva della certezza della propria identità. Poe ci porta sull’orlo di questo baratro, non poteva farci compiere il passo successivo.

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letteratura ceca

Ourednik, “Oggi e dopodomani”

PATRIK OUREDNIK – “Oggi e dopodomani” – :duepunti edizioni

“Forse moriremo di fame. Oppure di sfinimento. Forse un diluvio sommergerà la casa. Forse saremo attaccati da insetti venuti da un pianeta sconosciuto, che ci succhieranno il midollo. Forse qualcuno verrà ad ammazzarci. Forse ci ammazzeremo tra noi. Forse vivremo ancora per molti anni e moriremo di cancro. L’unica grazia che Dio ci ha fatto, ammesso che esista, è averci nascosto il modo in cui moriremo. (Pausa) Averci fornito di immaginazione, in compenso, non è stato particolarmente caritatevole”.

Quattro scene più un epilogo, cinque sopravvissuti destinati all’estinzione, un mondo sull’orlo del baratro, lo spazio di una stanza rassicurante che si va inesorabilmente restringendo e che contiene come in una sorta di arca le vestigia ancora utili di una vita plausibile.

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letteratura ceca

Ourednik, “Europeana”

PATRIK OUREDNIK – “Europeana” – :duepunti edizioni

“Europeana”, sottotitolo: “Breve storia del XX secolo”, opera di Patrik Ourednik, lo scrittore praghese che è anche drammaturgo, linguista e redattore di enciclopedie, è un libro raffinatissimo, intelligente, arguto e divertente che, già tradotto in almeno venti lingue, merita un’ampia diffusione nel nostro paese, se non altro per il contributo che può dare alla consapevolezza con cui i contemporanei guardano al secolo da poco terminato. L’attenzione del lettore è subito catturata dalla forma ormai quasi anacronistica scelta dall’autore: le pagine del libro costituiscono “la voce” di un tradizionale dizionario enciclopedico, con tanto di titoletti ai margini del testo per evidenziare gli argomenti trattati nei vari paragrafi e tavole fotografiche finali dotate di didascalie numerate. Ovvio quindi attendersi la completezza, quella che ci si aspetta da un sapere enciclopedico e, pagina dopo pagina, risulta sempre più evidente che davvero Ourednik è riuscito a condensare in 150 pagine  di formato ridotto, in una narrazione che procede con un ritmo incalzante (geniale la scelta di non usare mai le virgole per costringere il lettore a procedere di slancio verso la fine di ogni periodo), la storia di un secolo così complesso. Quello che però conquista il lettore è ben altro.

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letteratura tedesca

Jahnn, “13 storie inospitali”

HANS HENNY JAHNN – “13 storie inospitali” – Lavieri

“Gli scrittori davvero grandi sono quelli che sanno rallentare. Fermare il ritmo, dilatare il respiro, aprire dentro la frase spazi e pulsazioni inattese. Creano uno spazio sospeso che argina la morte.” (Dalla Postfazione di Andrea Raos)

Inizio col dire che si tratta di un libro pregevole per numerosi motivi. Innanzitutto si tratta attualmente della più agevole opportunità di leggere in traduzione italiana la prosa di Jahnn (le altre tre sue opere edite in italiano, nel 1994, nel 2000 e nel 2001, sono di difficile reperibilità), in secondo luogo, i racconti sono curati da Domenico Pinto (l’indimenticabile traduttore dei libri di Arno Schmidt) e, infine, sono accompagnati da un ricco apparato: una Postfazione di Andrea Raos ed il saggio “Perrudja” di Ferruccio Masini, apparso originariamente in “Il romanzo tedesco del Novecento”, a cura di G. Baioni, C. Cases e C. Magris (altro volume attualmente difficile da reperire).

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letteratura russa

Pasternak, “Il salvacondotto”

BORIS PASTERNAK – “Il salvacondotto” – Passigli

Si potrebbe giudicare questo libro superfluo e non essenziale se lo si paragona alla grandezza della prosa del “Dottor Zivago” ed all’innegabile suggestione racchiusa nei versi di Pasternak. Il lettore può quindi inoltrarsi nell’opera dell’autore ed apprezzarla quanto merita, anche se privo di questo salvacondotto. Ma spesso è in ciò che a prima vista appare superfluo che si nascondono tesori inaspettati, sono quindi felice di aver letto queste pagine. Poiché, se è vero che l’opera, una volta prodotta, ha una sua vita autonoma, alla quale il lettore in qualche modo partecipa e alla quale contribuisce, è anche indubbio che per il vero appassionato di letteratura è di vitale interesse venire a conoscenza di quel vero mistero (e insieme miracolo) che è la storia della formazione di una voce poetica, dei percorsi attraverso i quali si è formata, delle passioni di cui si è nutrita, soprattutto all’origine, e degli incontri da cui ha tratto ispirazione. “Il salvacondotto” dà l’opportunità di apprendere tutto ciò dalla stessa voce di Pasternak: non si può quindi certo definire un’autobiografia nel senso più stretto del termine, quanto una riflessione pubblica, la presa di coscienza di uno scrittore che rievoca le proprie origini spirituali e culturali, e che permette ai lettori di ripercorrere insieme a lui le prime tappe del proprio percorso formativo.

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letteratura ceca

Zabrana, “Tutta una vita”

JAN ZABRANA – “Tutta una vita” – :duepunti edizioni

Ancora un gioiellino della casa editrice :due punti, e ancora Patrik Ourednik, questa volta come curatore di un estratto dell’immenso diario di Jan Zabrana (decine di quaderni e taccuini datati e numerati ritrovati dopo la sua morte avvenuta nel 1984). Non ho bisogno di trovare le parole giuste per definire queste pagine, perché lo fa lo stesso autore, in modo assolutamente efficace, unendo allo sconforto e alla rassegnazione la levità della poesia: “Che cosa sono questi appunti, queste note a margine, queste parole prese a caso, appuntate in un quaderno come farfalle? Un’opera sospesa.” E ancora: “Queste note non sono un diario ma una diagnosi. La mia”. Zabrana è lo scrittore senza opera, che vive dolorosamente la consapevolezza di aver perduto, a causa dell’oppressione del regime comunista in Cecoslovacchia, la possibilità di scrivere.

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letteratura russa

Mamleev, “Il killer metafisico”

JURIJ MAMLEEV – “Il killer metafisico” – Voland

“Ecco cosa significa l’esoterismo russo innaffiato di vodka!”

Pur possedendone sotto molti aspetti le caratteristiche, “Il killer metafisico” non è un romanzo splatter scritto nella Russia sovietica degli anni ’60. I personaggi di Mamleev sono mostri ripugnanti con il gusto dell’orrido che si abbandonano a nefandezze difficilmente immaginabili, permeando di sé tutto ciò che li circonda e che vivono in un universo aberrante che possiede una sua logica intrinseca e che sembra accogliere e considerare le loro perversioni semplicemente come tratti distintivi di personalità individuali. Un universo pieno di orrore ma stranamente privo di odio, dove l’orrore non suscita reazioni o giudizi morali. Eppure, già dalle prime pagine, appare evidente che nulla in questo romanzo è gratuito e immotivato, che l’intento dell’autore non è quello di spaventare il lettore, né tantomeno quello di angosciarlo o di disgustarlo, ma quello di creare “un enorme impianto metaforico che vuole rappresentare una ricerca […] un affannoso e disperato scavo nelle profondità dell’umano che, così sembrerebbe, altro non è che il corporeo. E da qui l’impressione che questa ricerca sia solo uno sconcio e compiaciuto grufolare attraverso i meandri di menti pervertite e intimi recessi.” (dalla Postfazione di Ugo Persi)

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letteratura italiana

Bompiani, “L’attesa”

GINEVRA BOMPIANI – “L’attesa” – et al.

Non conoscevo Ginevra Bompiani prima di leggere questo libretto. Ora so che, oltre ad essere una raffinata scrittrice, apprezzata da Calvino e da Giorgio Agamben, è anche la fondatrice, insieme a Roberta Einaudi, della casa editrice nottetempo (alla quale, tra le altre cose, riconosco con gratitudine il merito di aver pubblicato l’epistolario Bachmann/Celan che ho da poco terminato). La Bompiani affronta il tema dell’attesa, riconoscendolo come uno degli aspetti fondamentali dell’esistenza, e dando alla sua trattazione un impianto filosofico, che ha la sua origine e i suoi punti cardine nel pensiero di Wittgenstein. Ciò che, a mio parere, rende questo libro prima di tutto leggibile anche da parte di chi non abbia una specifica preparazione filosfica e, in secondo luogo, affascinante per il lettore appassionato, è la scelta da lei compiuta, di affidare proprio alla Letteratura il compito di fornire spunti all’argomentazione dei vari passi attraverso i quali va formandosi la sua riflessione. L’autrice fornisce in questo modo al lettore l’occasione di rileggere testi noti che va via via citando, alla luce del suo specifico taglio interpretativo, e, come è stato nel mio caso, di trovare spunti interessanti per futuri percorsi di lettura.

 

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letteratura ungherese

Radnoti, “Mi capirebbero le scimmie”

MIKLOS RADNOTI – “Mi capirebbero le scimmie” – Donzelli

Ho letto (e riletto) queste poesie sentendo nelle orecchie l’eco di un’altra giovane voce, poco più di una promessa, ma una promessa piena di talento e di quella capacità di rendere evocative le immagini e anche le singole parole, infrante o sommerse nell’onda del verso, che è prerogativa dei grandi poeti. Ho letto Miklos Radnoti accomunandolo a Jiri Orten, creando tra loro un ponte ideale, consapevole della contemporaneità della loro esistenza, e della comune tragedia della loro prematura morte. Orten, ebreo destinato al lager e morto nei 1941 a Praga nel giorno del suo ventiduesimo compleanno, sotto le ruote di un’autoambulanza tedesca, ha lasciato nel suo diario poetico, “La cosa chiamata poesia”, accanto alla naturale ansia di vita della sua giovane età, la profonda amarezza di vivere, o meglio sopravvivere, in un tempo ostile, nemico della poesia.