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ALBERT CAMUS, “Taccuini”, Bompiani

Introduzione di Silvio Perrella

Prefazione di Roger Grenier

Traduzione di Ettore Capriolo

“Di notte, la luna rende bianche le dune. Poco prima, la sera aveva accentuato tutti i colori, rendendoli più violenti. Il mare è blu oltremare, la strada rossa, il sangue cagliato, la spiaggia gialla. Tutto scompare col sole verde e le dune grondano luna. Notti di felicità smisurata sotto una pioggia di stelle. Ciò che si stringe a sé è un corpo o la notte tiepida? E quella notte di tempesta in cui i lampi correvano lungo le dune, impallidivano, immettevano nella sabbia e negli occhi bagliori aranciati o biancastri. Sono nozze indimenticabili. Poter scrivere: sono stato felice per otto giorni di seguito.”

Si prova sempre un lieve imbarazzo quando ci si accinge a leggere la scrittura privata di un autore che, quando era in vita, non aveva nessuna intenzione di farla conoscere a degli estranei e tanto meno di pubblicarla. Lieve ma transitorio, soprattutto quando, come in questo caso, l’imbarazzo cede ben presto il posto all’ammirazione e direi quasi all’entusiasmo per la possibilità che queste pagine offrono di avvicinarsi maggiormente ad un autore che tanto si è amato grazie ai suoi bellissimi libri – romanzi e saggi – e alle sue opere teatrali. Sia ben chiaro, i “Taccuini” non sono veri e propri diari, non aprono uno spiraglio, se non per vaghi accenni, sulla vita privata del loro autore, sulle vicende quotidiane della sua esistenza, non offrono spunti per nutrire quella curiosità che spesso ci rende indebitamente interessati alla vita privata degli altri, soprattutto se questi “altri” sono persone fuori dal comune.

I “Taccuini” non sono diari, ma qualcosa di più, sono la possibilità rara che viene offerta al lettore di entrare in contatto con quella intimità tanto più profonda e personale che è il pensiero, con ciò che non è esplicitamente la vita dell’autore, ma che la accompagna giorno dopo giorno come una musica di sottofondo, che si avverte solo quando tutto il resto tace. Una scrittura per lui necessaria, visto che l’ha accompagnato per ventiquattro anni, dal 1935 fino alla morte, necessaria probabilmente quanto quella da cui sono nate le sue opere che con essa hanno un legame non privo di importanza. 

Qries
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GEORGES PEREC, “La vita istruzioni per l’uso”, BUR

Traduzione di Dianella Selvatico Estense

“Le scale per lui, a ogni piano, erano un ricordo, un’emozione, qualcosa d’antico e impalpabile, qualcosa che palpitava chissà dove, alla fiamma vacillante della memoria: un gesto, un profumo, un rumore, un luccichio, una giovane donna che cantava arie d’opera accompagnandosi al piano, un ticchettio maldestro di macchine per scrivere, un odore tenace di cresile, un clamore, un grido, un frastuono, un fruscio di sete e di pellicce, un miagolio lamentoso dietro una porta, dei colpi contro le pareti, dei tanghi suonati e risuonati su fonografi sibilanti o, al sesto a destra, il ronzio ostinato della sega a due tempi di Gaspard Winckler cui, tre piani più in basso, al terzo a sinistra, rispondeva ormai solo un silenzio insopportabile.”

Abitare in una vecchia casa significa chiedersi spesso chi abbia già vissuto, gioito e sofferto nel passato – in uno dei tanti passati che qui si sono susseguiti – tra le sue mura, quali storie si siano consumate nelle sue stanze, quali voci e quali silenzi siano qui risuonati, o addirittura quali mobili e oggetti abbiano lasciato nel tempo le loro impronte, tempo ben più lungo di quello concesso ai loro proprietari, perchè gli oggetti inanimati sopravvivono a chi li possiede, le scale a chi le percorre, le finestre a chi vi si affaccia, come del resto il cielo agli occhi che osservano il cammino delle nuvole. Questo nella vita, che è un tassello immemore impossibilitato a cogliere il disegno complessivo che spazi e tempi compongono nel loro divenire e nel loro trasfigurarsi, impossibilitato a cogliere se non minimi e provvisori mutamenti, a seguire e a decifrare poche e labili tracce, pochi e labili lacerti di storie. Tutto il resto lo può fare la letteratura se si pone un obiettivo nel contempo ambizioso, arduo e agli occhi dei più forse incomprensibile nella sua apparente inutilità, se non fosse che nel perseguirlo crea pagine di assoluta grandezza che vanno ben al di là di ciò che inizialmente il lettore può cogliere dell’intento che ha mosso e motivato la scrittura del loro autore.

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