“.. finchè navigo voglio solo navigare, essere una cosa sola con il fasciame e l’alberatura velata, vibrare come una gomena tesa, impregnarmi di mare come le vele di fiocco, quando le onde son prese di punta e la schiuma sormonta il bompresso, sì, voglio essere pura voce imperiosa, ‘Molla tutto!’, ‘Inverti la barra!’, puro flatus nell’orror tenebroso della tempesta, fatto della stessa sostanza degli schiocchi dei paranchi e del rimbombante muggito del mare…”
Tutti, credo, abbiamo iniziato a leggere per soddisfare un bisogno di avventura, che andasse oltre a quella che i giorni ci riservavano o che da soli avremmo potuto immaginare, desiderare o temere. Ce ne siamo nutriti e appassionati fino a che l’avventura è diventata una metafora della vita e abbiamo continuato a cercarla nei libri, a svelare i suoi camuffamenti, ad individuare le sue diverse facce, scoprendo che poteva travalicare le trame, liberarsi dai loro lacci, annidarsi nelle parole, nelle loro forme e strutture, diventando così inesauribile e inimmaginabile. Gli scrittori veri sono legati a doppio filo con l’avventura della parola, di tutte le sue forme e sfumature, del loro modo di ricreare ogni volta il mondo, sono degli avventurieri e leggerli significa seguirli, inoltrarsi con loro verso l’ignoto, spesso senza punti di riferimento. Si può fingere che sia solo un gioco, ma nessun trastullo o passatempo ha a che fare con il nostro bisogno di conoscenza o, come dice Stig Dagerman, nel titolo del suo bellissimo libro, di consolazione.
In questo senso Michele Mari è il principe degli avventurieri, non solo perchè ha riempito la sua letteratura di quello che fin dalle sue origini di lettore lo aveva entusiasmato e tenuto avvinto alle pagine, ma anche e soprattutto perchè ha trasfigurato tutto ciò contaminandolo con quel mondo delle lettere di cui è un inesausto esploratore, l’ha contaminato con tutti gli espedienti che la retorica gli mette a disposizione, ha forzato la lingua obbligandola ad utilizzare parole ed espressioni desuete ma piene di fascino e di molteplicità di significati. Ha riempito le sue pagine di labirinti in cui ci si inoltra pieni di incertezza e di stupore, di dubbi interpretativi, di reminiscenze e di consonanze, afferrando frammenti affascinanti e perdendo, quando si crede di averlo compreso, il senso dell’insieme, per poi ritrovarlo, ipotizzare, costretti a ritornare su pagine già lette e riscoprire così la loro bellezza.



Tutto ciò che viene nutrito è per sua natura destinato a crescere, che si tratti di un organismo vivente, oppure di una passione, o di una ossessione. E queste ultime ancora di più, dovendo rispondere esclusivamente alle proprie leggi interne, e non dovendo sottostare ad alcun limite di spazio e di tempo. Una passione così totalizzante da diventare ossessione, una volta cresciuta e diventata adulta può, in determinate condizioni, dare i suoi frutti. A mio parere è questa l’origine del romanzo che lo stesso Mari definisce “come una vendicativa resa dei conti con una giovinezza interamente dedicata alla letteratura”, oltre che, in modo assertivo, totalizzante, ma anche emozionante, “il libro della mia vita”. Non entro nel merito delle differenze tra questa nuova versione e quella uscita in prima edizione nel 1989, abbondantemente spiegate e motivate dall’autore nella Nota al testo; mi basta sapere che tutte le correzioni sono state “a togliere” e che quindi “l’attuale versione, in ogni sua oltranza di lingua e di stile, era già tutta nella primissima”.
“Orazio, quando tu guardi la candida Luna, come puoi dire che non sia Ella a guardare te?”
“Un affabulatore maestoso”
Che cosa cerco nella letteratura.
Ho voluto correre il rischio della lettura di questo libro di Mari. Dal mio punto di vista un rischio, perchè temevo di restare delusa, e noi lettori sappiamo quanto fa male dover ammettere che uno dei nostri scrittori preferiti (tra gli italiani contemporanei, Mari lo è per me) deve essere ridimensionato ai nostri stessi occhi. Sarebbe stata una delusione che forse non gli avrei perdonato. Ho rischiato per la promessa insita in questo titolo canzonatorio e ammiccante (solo, mi pare volutamente, smorzato dall’asettico sottotitolo). Ho ritrovato invece in queste pagine quello che di Mari mi affascina: che si tratti di letteratura, di musica, di vita, ciò che lasciano i suoi libri è una straordinaria sensazione di completezza, o meglio, di aspirazione alla completezza.