TADEUSZ KONWICKI – “Piccola apocalisse” – Feltrinelli
“Sono affamato di uomini. Di veri uomini dotati di senso dell’onore, di dignità. Riservati, virili, ascetici, cavallereschi. Ed eccoci intorno dappertutto piccole donnette in calzoni. Donnette maschio coi capelli lunghi, gorgerine e scollaturine. Befane avide, ingorde, svergognate , coi pene nascosti nelle mutande di trina. Sono rimasto solo con fraschette, donnicciole, puttanelle e perisco perchè tutto mi è contro. Tutto mi schiaffeggia, mi offende, mi sbatte fuori a calci dalla vita.”
NON SCRIVERTI
“Ognuno sconta le colpe di tutti”
“Il balbettio dell’arte è eterno”
“Ah, che gioco affascinante era!”
“Un affabulatore maestoso”
Che cosa cerco nella letteratura.
Ho voluto correre il rischio della lettura di questo libro di Mari. Dal mio punto di vista un rischio, perchè temevo di restare delusa, e noi lettori sappiamo quanto fa male dover ammettere che uno dei nostri scrittori preferiti (tra gli italiani contemporanei, Mari lo è per me) deve essere ridimensionato ai nostri stessi occhi. Sarebbe stata una delusione che forse non gli avrei perdonato. Ho rischiato per la promessa insita in questo titolo canzonatorio e ammiccante (solo, mi pare volutamente, smorzato dall’asettico sottotitolo). Ho ritrovato invece in queste pagine quello che di Mari mi affascina: che si tratti di letteratura, di musica, di vita, ciò che lasciano i suoi libri è una straordinaria sensazione di completezza, o meglio, di aspirazione alla completezza.
Avrei voluto trovare in questo romanzo una trama fragile come un velo, una sorta di sentiero appena tracciato che si percorre consapevoli che ad ogni svolta si può correre il rischio di perdersi. Forse la parola rischio è la più adatta ad esprimere ciò che avrei voluto trovare. Mi ha disturbato nella lettura di questo romanzo il suo intreccio complesso e ben strutturato. Mi ha disturbato proprio ciò che in un altro contesto potrebbe essere un pregio. Ma ogni libro è necessario a modo suo, o non lo è.
“La traduzione del Rebora è un capolavoro, e noi in Italia non siamo abituati a lavori di tal serietà e finezza d’arte” (Piero Gobetti)