MICHELE MARI – Rondini sul filo – Mondadori
“[…] suadente come seguisse una musica che sente lei sola, esperienza inquietante ascoltarla, quasi le sue parole avessero dita che ti frugano il cuore… prima un solletichino bello, grazioso… poi certe lame! che non hai scampo! che diventi un Francis Bacon! che ha ragione lei! sempre! la gran filosofessa! mica poco triste sta donna, malinconica molto, sempre in comunione con le altitudini… gliela dettano le altitudini la sua malinconia iridescente, le angelelle dorate gli zefiri rosa… bella quando è così dolente, ispirata… la nobilissima virgo vestale! che allora puoi fare il confronto fra l’epidermide che ti è data in sorte e tutti i Misteri che si tiene per sé, allora soltanto! allora ch’è un’Altra! che ti senti un lombrico da tanto volteggia leggera, si libra… creatura affatata, esistita da sempre… vede tutto sa tutto… antica, anteriore… futura… poter salire con lei, un pochino, alleggerire la mia vita dannata…”
“Rondini sul filo” è un monologo delirante, lungo 346 pagine, senza soste o remissione, fluviale e dirompente, che non ammette ostacoli, che non tollera indugi e che richiede al lettore di condividere la sua stessa energia con la disposizione a lasciarsi travolgere. Non esiste altra possibilità: o si corre col cuore in gola appresso a queste righe, o si chiude il libro e non si procede oltre. Ogni libro possiede il suo ritmo e il suo respiro, ogni linguaggio detta i suoi tempi. In questo romanzo di Mari, la cifra costitutiva è la frenesia di una lingua che definire lussureggiante è ben poca cosa. Perché in effetti è lei che signoreggia la pagina, è lei che avvolge il suo oggetto – sostanzialmente la donna amata dall’io narrante, o meglio dire parlante – ed è sempre lei che si fa carico di quella ossessione che è il tema dominante del romanzo, sostenendola e declinandola all’infinito, in mille e mille modi, con una creatività che dilaga, su se stessa ritorna, trova nuovo slancio e costruisce nuove architetture.



“Nei momenti che seguirono l’aggressione, Eligia era ancora rosea e simmetrica, ma di minuto in minuto le linee dei muscoli del viso cominciarono a incresparsi, un viso ancora molto liscio fino a quel giorno, nonostante i quarantasette anni e un intervento giovanile di chirurgia estetica cui doveva il nasino corto e all’insù. Quella spuntatina volontaria che per trent’anni aveva conferito alla sua testardaggine un’aria di audacia impostata divenne il simbolo della resistenza alle grandi trasformazioni che l’acido stava operando. Le labbra, le rughe attorno agli occhi e il profilo delle guance si andavano trasformando con un andamento antifunzionale: alla comparsa di una curva in un punto che non aveva mai avuto curve corrispondeva la scomparsa di una linea che fino a quel momento aveva costituito un tratto inconfondibile della sua identità”.




