THOMAS BERNHARD – Il loden – Theoria
Traduzione di Giulia Ferro Milone
“Mi venne in mente che il loden di mio zio aveva sei occhielli, subito conto gli occhielli del loden di Humer, li riconto una seconda volta, li riconto una terza, sempre dall’alto verso il basso e dal basso verso l’alto e penso, anche il loden di Humer ha sei occhielli, sei occhielli ricoperti di pelle di capretto nera, al che penso che si debba trattare del loden dello zio Worringer…”
Il grande stile mi appare spesso legato ad un eccesso, costituito da un eccesso, eccesso di energia, di aggressività tesa, aderente al suo oggetto, oppure, al contrario, eccesso di disadorna rinuncia al possesso, persino a quello delle proprie immagini o parole, quasi nell’intento di sparire e di negarsi, proprio nel momento stesso in cui, dando vita ai propri pensieri, magari sotto voce, ci si impone, comunque e in qualche modo. Il grande stile travalica i confini, abbatte le barriere della consuetudine e dell’accettabile, abita nell’esagerazione pur non avendo alcun intento di stupire, pur non inseguendo a tutti i costi nessun tipo di originalità di facciata, il grande stile è, anche, arte dell’esagerazione, proprio quella tante volte citata da Bernhard, fonte di disturbo e spesso di disagio perché conduce in territori inabitabili, come sarebbe inabitabile l’esistenza privata di qualsiasi parvenza di procedure acquisite. C’è esagerazione e disturbo del pubblico sentire in Walser, che brilla mentre si sottrae e in Bernhard che risplende nella sua prosa ipnotica, che aggredisce, tiene avvinti e trascina con sé nelle volute di un pensiero che non fa che riprodurre se stesso.