INGEBORG BACHMANN – Non conosco mondo migliore – Guanda
“… non vedete amici/ non lo vedete/ che dappertutto/ incomincio a scavare la mia/ mia tomba,/ anche in questa carta/ incido il mio nome e/ penso che non vorrei riposare/ ancora, che non riposerò/ mai, che/ persiste questo ferro/ nel corpo, questo pugno sul/ cranio, questa frusta/ sulla schiena…”
La storia editoriale di questa raccolta poetica è l’esito di una consapevole violazione della volontà della poetessa che non aveva destinato alla pubblicazione i testi che la compongono, una violazione perpetrata per amore, per ammirazione, per la caparbia volontà di non privare i lettori di accenti poetici – forse non del tutto rifiniti, in alcuni casi ancora in fieri, in altri già prorompenti e sospesi come grida, o gementi come sussurri – di una maturità, dolente e ferita, ma splendida nella sua capacità di domare e asservire il ritmo, di controllarlo per condurlo alla rottura ed alla esplosione, di costringere le parole ad una verità forse crudele, ma finalmente autentica, sempre sorprendente e viva, anche quando corteggia la morte. Una violazione perpetrata da Isolde Moser e da Heinz Bachmann, i fratelli della poetessa, incoraggiati in questa loro opera, di ricerca, raccolta, ricostruzione commossa a quasi trent’anni dalla morte della sorella, tra gli altri, da Hans Holler, l’autore de “La follia dell’assoluto”, un libro che è molto più di una biografia e che si configura come una vera e propria guida alla scoperta della iniziazione, della costruzione e della progressiva crescita di un intero mondo intellettuale e poetico, della formazione e dello sviluppo di quella acuta e intelligente sensibilità che ha lasciato la sua impronta anche in ognuno di questi versi, perentori, interlocutori, visionari, sofferenti fino alle soglie del pianto, drammatici e lucidi nel decantare il desiderio di autodistruzione.