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letteratura uruguaiana

Juan Carlos Onetti, “Per questa notte”

JUAN CARLOS ONETTI – Per questa notte – Feltrinelli

onetti-per-questa-nottePer questa notte languida e feroce – che si adagia sensuale su strade e vicoli della città con le sue nubi arrotondate e invade pelle e sguardi; e che interrompe i sogni e risveglia i sensi assopiti con le lame acute delle sue luci gialle – per questa notte avvolta su se stessa, che rimescola le carte e i giochi – così che nei suoi mille angoli la vittima sa di essere un carnefice e il torturatore volge al passato i suoi occhi da segugio e ripercorre i passi della sua ingiusta solitudine.

Per questa notte che vive “in attesa, sempre vuota, sempre affamata” in simbiosi con una morte presente e camuffata – che tende agguati alle finestre e assedia le stanze – isole dimesse di una vita immonda; per questa notte che spezza il respiro e le parole e “l’accecante sorriso dell’amore perduto”, notte affannata di sospetti e grida, di fughe senza meta e di abortite speranze.

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letteratura austriaca

Ingeborg Bachmann, “Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte”

INGEBORG BACHMANN  – Letteratura come utopia. Lezioni di Francoforte – Adelphi

bachman-letteratura“Ferito di realtà e in cerca di realtà, consegna la propria esistenza alla lingua” (Paul Celan)

Il testo raccoglie le cinque lezioni tenute dalla Bachmann nell’inverno 1959/60, con le quali fu inaugurata la cattedra di Poetica presso la Johann Wolfgang Universitat di Francoforte sul Meno. Il ciclo fu intitolato “Problemi di poetica contemporanea”.

 A lezione da Inge. Appunti

I Lezione: Domande e pseudodomande

Dalla cattedra da cui sta parlando, Ingeborg Bachmann dichiara che non le sarà possibile insegnare nulla, bensì, forse, risvegliare qualcosa: “pensare insieme la disperazione e la speranza con cui alcuni mettono in discussione se stessi e la nuova letteratura”. C’è una sola e grave domanda su cui ogni scrittore deve prendere posizione, ed è quella che riguarda la giustificazione della sua esistenza: “Su che cosa scrivere, per chi, e a che cosa dare voce al cospetto degli uomini, in questo mondo?”.

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letteratura americana

Henry James, “La panchina della desolazione e altri racconti”

HENRY JAMES – La panchina della desolazione e altri racconti – Bompiani

“E’ veramente gloria essere stati messi alla prova, aver avuto la propria piccola forza, aver gustato il proprio piccolo incanto. Quello che conta è aver fatto vibrare qualcuno”.

Un estratto rivelatore della grande stoffa di un narratore che suggella i suoi scritti, siano essi romanzi o racconti, con le proprie impronte digitali, dando loro un aspetto particolarissimo e inconfondibile. I lettori di James conoscono bene la vibrazione di cui parla, cedono ogni volta alla tentazione di penetrare nei suoi meccanismi, di smontarli per individuarne l’origine; sciolgono uno alla volta i nodi intrecciati dei suoi racconti costruiti sulla speculazione, finendo ogni volta con la convinzione di avere alla fine risolto l’arcano, di aver riconosciuto metodi e procedimenti, o meglio, di essersi per un attimo riconosciuti nelle progressive trasfigurazioni interiori dei suoi personaggi, di aver assorbito un po’ della sua intelligente lucidità, per ritrovarsi però, molto presto, una volta chiuso il libro, come succede nei subitanei risvegli che pongono fine ai sogni, con la sensazione di non avere più saldo tra le mani il filo conduttore di un testo che potrebbe quindi essere riletto senza perdere nulla della sua bellezza e della sua originalità.

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letteratura tedesca

Franz Fuhmann, “La Boemia in riva al mare e altri racconti”

FRANZ FUHMANN – La Boemia in riva al mare e altri racconti – Marietti

“Se da queste parti le case sono verdi, entrerò ancora in una casa./ Se qui i ponti sono intatti, camminerò su un fondo sicuro./ Se la fatica d’amore in ogni tempo va sprecata, qui la sprecherò volentieri.// Se non sono io, è uno che potrebbe essere me.// Se qui una parola mi accosta, la lascerò accostare./ Se la Boemia sta ancora sul mare, crederò di nuovo ai mari./ E se al mare credo ancora, spererò nella terra.// Se sono io, allora è chiunque sia simile a me./ Non voglio più niente. Voglio andare a fondo.// A fondo – nel mare cioè, lì troverò la Boemia./ Affondata, mi sveglierò tranquilla./ Adesso so fino in fondo, e non sono smarrita.// Venite, tutti voi boemi, marinai, puttane d’angioporto e navi/ senza ancora. Non volete essere boemi, voi illiri, veronesi,/ e veneziani tutti?/ Recitate le commedie che fanno ridere// e sono da piangere. E sbagliatevi cento volte,/ come io mi sbagliai e non superai mai prove,/ eppure le ho superate, una volta dopo l’altra.// Come le superò la Boemia e un bel giorno/ ebbe la grazia del mare e ora sta sull’acqua.// Mi accosto ancora a una parola e a un’altra terra,/ mi accosto, anche se poco, sempre più a tutto,// boemo, chierico vagante, che niente ha, che niente trattiene,/ dotato soltanto dal mare, che è dubbio, di occhi per la mia terra d’elezione”. (Ingeborg Bachmann, “Bohmen liegt am Meer – La Boemia sta sul mare”)

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letteratura tedesca

Arno Schmidt, “Leviatano o il migliore dei mondi”

ARNO SCHMIDT – Leviatano o il migliore dei mondi – Mimesis

“Saluterei con gioia la fine dell’umanità; ho fondata speranza che entro – beh – fra i 500 e gli 800 anni si saranno annientati del tutto; e sarà cosa buona”

Accolgo ogni uscita in traduzione italiana di un libro di Arno Schmidt con enorme gratitudine per chi abbia deciso di intraprendere l’ardua fatica di una trasposizione linguistica al limite dell’impossibile. Tanto più se, come nel caso presente, questa è accompagnata da un commentario che è molto più di un apparato di note, configurandosi come una vera e propria chiave interpretativa, indispensabile per penetrare in un testo potentemente allusivo, costruito su una messe infinita di citazioni e riferimenti, che sembra procedere tra equilibrismi e affondi in una cultura vastissima, percorsa da Schmidt con la naturalezza e la sicurezza del padrone di casa, che si permette ogni sorta di appropriazione e di trasposizione, giocando tra i veli delle metamorfosi linguistiche e conducendo il lettore in labirinti che rendono necessaria una guida sicura. La gratitudine del lettore italiano va quindi a Dario Borso, traduttore e curatore della presente edizione, il quale fornisce nella Premessa le informazioni necessarie per inquadrare il testo all’interno della produzione e della vita dell’autore. Il “Leviatano” è costituito da una quarantina di pagine, fitte, dense, concentrate, tese e meravigliose che possono conquistare qualsiasi lettore, ma tanto più coloro che già hanno avuto l’opportunità di farsi coinvolgere dalla prosa personalissima di un autore che di sé diceva: “Non sono un poeta. Mi manca la facilità. Il vero poeta compone come respira”.

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letteratura italiana

Antonio Moresco, “Canti del caos”

ANTONIO MORESCO – Canti del caos – Oscar Mondadori

“Sono solo, completamente solo. Come si è infinitamente soli, all’inizio! Sono solo come mai è stato nessun altro scrittore di questa specie. Sono lo scrittore di un pianeta e di un mondo che non c’è più, di una specie che non c’è più, che non c’è ancora”

“Lettore irredento”, le parole con cui si apre la “Prefazione”, che dà inizio alla prima parte del romanzo e ne costituisce il titolo – la seconda si apre con l’”Invocazione alla Musa” e la terza con l’”Inizio” – sono un appello che chiarisce in modo ironico ma scevro di fraintendimenti a quale tipo di lettore Moresco intenda rivolgersi, irredento appunto, e destinato a rimanere tale, a non accontentarsi, ad alimentare la speranza di imbattersi prima o poi in un capolavoro letterario della contemporaneità – derivando forse la sua utopica illusione dall’essersi nutrito, in quanto lettore, di tanti capolavori del passato – in un’epoca in cui gli scrittori cosiddetti di successo hanno imparato bene il mestiere, quello di progettare “cosette di cento – duecento cartelle”, sviluppando uno schemino “sempre più facile di volta in volta, sempre più riuscito, sempre più tornito”, per sfornare “tanti bei compitini tutti in fila, uno ogni anno, due anni”, sfruttando tutto quello che l’industria letteraria, “le vaste e multimediali imprese economico – culturali” che gestiscono “una caricatura di questo genere sempre più marginale” mette loro a disposizione per incrementarne sia i guadagni che l’autostima.

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letteratura austriaca

“La lirica di Ingeborg Bachmann. Interpretazioni”

La lirica di Ingeborg Bachmann. Interpretazioni – a cura di Luigi Reitani – Cosmopoli

Nel novembre del 1993 l’Università degli Studi di Udine, in collaborazione con l’Istituto Austriaco di Cultura di Milano, organizza un convegno dal titolo “La notte deve voltar pagina. La lirica di Ingeborg Bachmann”. La maggior parte dei contributi raccolti nel presente volume nasce proprio in quella occasione. Ogni saggio è incentrato su una singola poesia della Bachmann e il volume si presenta complessivamente come una proposta di lettura di diciassette diverse liriche, articolata secondo l’ordine cronologico della pubblicazione dei testi e attuata da diciassette studiosi diversi (tra gli italiani, Giorgio Manacorda, Maria Teresa Mandalari, Luigi Reitani, Antonella Gargano, Giuseppe Dolei e Fabrizio Cambi). La silloge è arricchita da una introduzione del curatore, Luigi Reitani, dal testo – in lingua e in traduzione – di ogni lirica, da un ricchissimo apparato di note e citazioni – anch’esse tradotte – e si conclude con una Cronologia della vita e delle opere di Ingeborg Bachmann e con una accuratissima Bibliografia.

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letteratura ceca

Jiri Fried, “Hobby”

JIRI FRIED – Hobby – Einaudi

“E ogni scrittura non vale forse più di ciò che con essa si può scrivere? Se con la scrittura si può cogliere tutto, si potrà dunque anche quello che nessuno ha mai ancora pensato e forse non pensera mai?”

Ciò che regge, motiva e caratterizza questo romanzo breve di Fried è la sua serrata struttura, che si sviluppa ed evolve con una perfezione quasi matematica in un crescendo di complessità e profondità. Lo specifico letterario che lo sostiene, una sorta di relazione dell’io narrante sulle modalità del processo evolutivo che trasforma l’hobby del protagonista in passione, poi in fissazione, in ragione di vita e, infine, in modello interpretativo del mondo, determina l’intreccio – l’avvincente storia interiore di una individualità altrimenti anonima – ma crea anche un mondo, “un puntiglioso universo della cancelleria”, al suo interno perfettamente plausibile e coerente, con le sue motivazioni, le sue leggi e le sue istanze metafisiche. L’hobby del titolo è la copiatura e il protagonista del romanzo, un piccolo impiegato del tribunale dal carattere timido e piuttosto lento, che ricorda certi personaggi gogoliani, è sempre e solo indicato dall’autore con l’appellativo “il copista”, non tanto per accentuarne il carattere anonimo, quanto, al contrario, per identificarlo nella sua unica e vera essenza. Unica a tal punto che il progressivo affinarsi della sua arte della copiatura – perché di questo si tratta – copre l’intero arco della sua vita da adulto, dall’inizio dell’età virile, subito dopo l’esame di maturità, quando viene assunto in tribunale, fino alla sua serena e laboriosa vecchiaia, fino al lento approssimarsi della sua morte. Non si può evitare di riferire, almeno per sommi capi, le tappe di un percorso disseminato di tentativi, conquiste, fallimenti, dubbi, angosce, esaltazioni che è insieme ricognizione di una vita e metafora della vita, oltre che struttura portante del romanzo.

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letteratura uruguaiana

Juan Carlos Onetti, “La vita breve”

JUAN CARLOS ONETTI – La vita breve – Einaudi

“Ognuno è soltanto un momento eventuale”

Permane, alla fine di questo lungo – e travolgente e sorprendente – romanzo, una vaga nostalgia di stanze chiuse, quasi sempre notturne, con le finestre spalancate su un vento fresco e nero, o serali, con i rumori consueti delle esistenze che si ritirano. Permangono le immagini di innumerevoli oggetti che popolano questi interni, minuziosamente ripresi nelle vaghe sfumature che la luce disegna su di loro. Locali notturni, oppure uffici, camere d’albergo, caffè, ambulatori: una maestria descrittiva che si dipana con una lentezza che si fa spesso sontuosa nel delineare gli ambiti essenziali ai quali si aggrappa una narrazione che prolifera e lievita, a partire da un punto di non ritorno. Perché come si torna indietro dalla fredda constatazione che la vita – qualsiasi vita – è, o diventerà prima o poi, disperata e disperante? E come si continua a vivere con “la sicurezza indimenticabile che non c’è in nessun luogo una donna, un amico, una casa, un libro, nemmeno un vizio, che possano farmi felice”, come constata lucidamente Juan Maria Brausen, il protagonista del libro? Il romanzo di Onetti inizia dunque dove tante opere della più grande letteratura finiscono: dalla constatazione che la vita è fatta di malintesi e che non c’è via d’uscita, che la condizione più naturale per l’uomo è quella del disperato (che sia disperato puro, “incapace di innalzarsi fino all’altezza della sua prova”, oppure disperato debole e impuro, “che proclamerà la propria disperazione sistematicamente e pazientemente […] e sarà sempre in grado di creare il piccolo mondo di cui ha bisogno, sarà sempre disposto a piegarsi, ad assopirsi”, oppure disperato forte, che “sa o è convinto che nessuno potrà consolarlo”, ma che è disposto in qualsiasi momento ad “affrontare la propria disperazione, isolarla, guardarla in faccia”, secondo la onettiana, personalissima teoria della disperazione), perché non si sfugge alla disillusione, alla corruzione della malattia e della vecchiaia, alla scomparsa delle persone care o, peggio, dei sentimenti che un tempo si provavano per loro. Anche se pare che questa consapevolezza sia un dono terribile riservato ad alcuni, perché tanti invece avanzano sicuri “verso il mondo poetico, musicale e plastico del domani”.

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letteratura austriaca

Ingeborg Bachmann, “Invocazione all’Orsa Maggiore”

INGEBORG BACHMANN – Invocazione all’Orsa Maggiore – SE

iinvocazioneorsa1Rileggo spesso le liriche della Bachmann e, tra quelle contenute nella raccolta “Invocazione all’Orsa Maggiore”, ancora più spesso i “Lieder auf der Flucht”, i “Canti lungo la fuga”. Principalmente per la consapevolezza che non esiste la possibilità di dichiarare finita, terminata, la lettura della poesia, quando è grande poesia, e poi, probabilmente, anche per convincermi che sia veramente esistita una simile voce poetica, una simile voce poetica femminile. Fuga, “Flucht”, è un termine che ricorre spesso nel lessico poetico della Bachmann; i suoi versi sottendono spesso un movimento, un allontanamento o, al massimo, delle soste precarie e momentanee, già consapevoli della propria transitorietà. Forse rileggo così spesso questi “Canti” perché, nel mio immaginario, sono quelli che meglio rappresentano il soggetto poetico che li ha generati, la sua anima così complessa e contraddittoria, ritrosa ma anche votata all’espressione di sé. Perché la Bachmann sembra costantemente negarsi, ma anche concedersi, sembra esistere di un’esistenza perentoria ed esigente, nelle brevi soste di una vita interiore da fuggitiva.