HERMANN UNGAR – I mutilati – SILVY
“Ecco la breccia, da cui irrompeva l’imprevisto e spargeva il terrore”
Quale esperimento di distillazione e dissociazione, di corruzione e vaporizzazione, di riduzione a poche e instabili particelle di disperata e tormentata umanità può aver condotto alla creazione di Franz Polzer, il patetico eroe del romanzo di Ungar? Di sicuro sui banchi contigui dello stesso laboratorio si andavano delineando gli allucinati lineamenti del funzionario Krastik, protagonista de “La porta verso l’impossibile” di Oskar Baum e quelli, ancora più eterei, dell’anonimo ed evanescente eroe de “La prova del fuoco” di Ernst Weiss. Il laboratorio è la Praga dei primi decenni del Novecento, la capitale magica d’Europa, la Praga magica di Ripellino e la Praga al quadrato di Magris. Il laboratorio è la Praga di Kafka. E’ come se la letteratura in quegli anni fosse stata destinata ad ereditare i segreti degli alchimisti che tra i vicoli all’ombra del Castello, in un lontanissimo passato, avevano cercato la procedura alchemica in grado di trasformare in oro i metalli. Ed è come se questo impossibile procedimento fosse continuato, per tentativi, mediante la penna di scrittori in grado di farsi carico di disperate esistenze umane e di trasfigurarle nell’oro della grande letteratura.
“Viviamo in un’epoca di perdita di senso e di una incerta paura. Una paura lenta”.
Per questa notte languida e feroce – che si adagia sensuale su strade e vicoli della città con le sue nubi arrotondate e invade pelle e sguardi; e che interrompe i sogni e risveglia i sensi assopiti con le lame acute delle sue luci gialle – per questa notte avvolta su se stessa, che rimescola le carte e i giochi – così che nei suoi mille angoli la vittima sa di essere un carnefice e il torturatore volge al passato i suoi occhi da segugio e ripercorre i passi della sua ingiusta solitudine.
“Ferito di realtà e in cerca di realtà, consegna la propria esistenza alla lingua” (Paul Celan)
“E’ veramente gloria essere stati messi alla prova, aver avuto la propria piccola forza, aver gustato il proprio piccolo incanto. Quello che conta è aver fatto vibrare qualcuno”.
“Se da queste parti le case sono verdi, entrerò ancora in una casa./ Se qui i ponti sono intatti, camminerò su un fondo sicuro./ Se la fatica d’amore in ogni tempo va sprecata, qui la sprecherò volentieri.// Se non sono io, è uno che potrebbe essere me.// Se qui una parola mi accosta, la lascerò accostare./ Se la Boemia sta ancora sul mare, crederò di nuovo ai mari./ E se al mare credo ancora, spererò nella terra.// Se sono io, allora è chiunque sia simile a me./ Non voglio più niente. Voglio andare a fondo.// A fondo – nel mare cioè, lì troverò la Boemia./ Affondata, mi sveglierò tranquilla./ Adesso so fino in fondo, e non sono smarrita.// Venite, tutti voi boemi, marinai, puttane d’angioporto e navi/ senza ancora. Non volete essere boemi, voi illiri, veronesi,/ e veneziani tutti?/ Recitate le commedie che fanno ridere// e sono da piangere. E sbagliatevi cento volte,/ come io mi sbagliai e non superai mai prove,/ eppure le ho superate, una volta dopo l’altra.// Come le superò la Boemia e un bel giorno/ ebbe la grazia del mare e ora sta sull’acqua.// Mi accosto ancora a una parola e a un’altra terra,/ mi accosto, anche se poco, sempre più a tutto,// boemo, chierico vagante, che niente ha, che niente trattiene,/ dotato soltanto dal mare, che è dubbio, di occhi per la mia terra d’elezione”. (Ingeborg Bachmann, “Bohmen liegt am Meer – La Boemia sta sul mare”)
“Saluterei con gioia la fine dell’umanità; ho fondata speranza che entro – beh – fra i 500 e gli 800 anni si saranno annientati del tutto; e sarà cosa buona”
“Sono solo, completamente solo. Come si è infinitamente soli, all’inizio! Sono solo come mai è stato nessun altro scrittore di questa specie. Sono lo scrittore di un pianeta e di un mondo che non c’è più, di una specie che non c’è più, che non c’è ancora”
“E ogni scrittura non vale forse più di ciò che con essa si può scrivere? Se con la scrittura si può cogliere tutto, si potrà dunque anche quello che nessuno ha mai ancora pensato e forse non pensera mai?”