VITALIANO TREVISAN – “I quindicimila passi” – Einaudi
“Me ne vado, lascio per sempre alle mie spalle tutto questo schifo cattolico democratico artigiano industriale. Lascio per sempre questo disgustoso buco di provincia, pieno solo di persone ottuse pericolose e pericolosamente malvagie”.Una società bigotta e chiusa nel proprio egoismo. Una tradizione culturale segnata dall’impronta reazionaria del cattolicesimo. Un paesaggio naturale deturpato dalla stupidità dell’uomo. Uno stile di scrittura che insiste con foga ripetitiva sulle ossessioni del protagonista di nome Thomas. Il romanzo di Vitaliano Trevisan è profondamente debitore dell’opera di Thomas Bernhard. Il Veneto descritto nel libro è parente prossimo dell’Austria “infelix” del grande scrittore di Salisburgo. E Trevisan, con la sua spietata urgenza di mettere a nudo l’insensatezza che domina le azioni dell’uomo, non ce lo fa mai rimpiangere. Dedicato a chi ha ancora voglia di un libro “scomodo”.
Ho letto “Lo sterro” guidata e accompagnata da due affermazioni che possono essere considerate come sua premessa, ma anche come sua conclusione, oltre a costituire valide motivazioni per accostarsi all’opera di Platonov. La prima è di Iosif Brodskij: “A leggere Platonov, mai pubblicato nella Russia sovietica, si ha il senso della spietata, implacabile assurdità insita nel linguaggio… vi trovate in gabbia, sperduti, abbagliati”. L’altra è di Ivan Verc, docente di Lingua e Letteratura russa presso l’Università di Trieste, curatore della presente edizione: “E’ il sonno della memoria che crea mostri: questo, forse, il testamento che Platonov ci ha lasciato”. Proprio di questa edizione vorrei sottolineare l’accuratezza e la completezza. Fa parte della collana di classici russi “Le betulle” (della Letteratura universale Marsilio), diretta da Vittorio Strada e offre al lettore non solo la possibilità di conoscere un testo e un autore non certo tra i più noti in Italia, ma anche una serie di strumenti che permettono una lettura più consapevole e completa. Mi riferisco alla presenza del testo in lingua originale con traduzione a fronte, al saggio iniziale “Il riscatto della memoria” di Ivan Verc, all’ampia cronologia relativa all’autore e all’opera, al ricchissimo apparato di note al testo che, da sole, costituiscono una piccolo dizionario della propaganda sovietica, indispensabile per comprendere il linguaggio di Platonov e, infine, alla Bibliografia conclusiva. In questo modo la lettura del romanzo non si esaurisce e non si conclude, ma diventa un’opportunità di nuovi e consapevoli percorsi di lettura. Un gioiello insomma, in un panorama editoriale spesso deludente.
“C’era qualcosa di etereo nel modo di suonare di Johnny Hodges, qualche cosa d’inspiegabile e di perfettamente sensuale. La sensualità allo stato puro, liberata dal corpo. Gli angoli della stanza si modificavano e si arrotondavano sotto l’effetto della musica. Ora Colin e Chloé riposavano al centro di una sfera. –Che cos’era?- domandò Chloé –Era The mood to be Wooed- disse Colin –Avevo indovinato- disse Chloé –Visto la forma che ha preso la nostra camera, come pensi che farà il dottore a entrarci?”
La fossa che dà il titolo al romanzo è il quartiere a luci rosse nei sobborghi di Kiev dove, alla fine del 1800 sorgevano trenta e più case di tolleranza, diverse nel prezzo, “nella scelta delle donne più o meno belle, nei vestiti più o meno eleganti, nello sfoggio delle acconciature e nel lusso delle camere”, un quartiere tutto compreso entro due strade, la Grande e la Piccola Jamaskaja, occupate esclusivamente da entrambi i lati da questi locali. La vicenda narrata da Kuprin è la storia di una di queste case, la casa di second’ordine di Anna Markova, una di quelle in cui si pagano due rubli per una visita (in quelle di primo ordine se ne pagano tre; quelle da un rublo o, peggio, da cinquanta copeche, sono sordide e miserabili, le camere da letto sembrano stalle, divise da sottili tramezzi che non arrivano al soffitto, sui letti, al disopra di sacchi di paglia sono buttati lenzuoli “incincignati, stracciati, che il tempo e le macchie hanno scurito”), storia compresa tra il breve apogeo della sua fortuna e il suo repentino crollo, contemporaneo a quello dell’intero quartiere.
Antonio Tabucchi insegna Lingua e Letteratura Portoghese all’Università di Siena. Legato da un amore viscerale al Portogallo, è il maggior conoscitore, critico e traduttore dell’opera dello scrittore Fernando Pessoa, dal quale ha attinto i concetti della saudade, della finzione e degli eteronimi. Tabucchi conosce l’opera di Pessoa negli anni sessanta, durante le sessioni che frequenta alla Sorbona, ne rimane talmente affascinato che, tornato in Italia, frequenta un corso di lingua portoghese per comprendere meglio il poeta. I suoi libri e saggi sono stati tradotti in 18 paesi, compreso il Giappone. Con María José de Lancastre, sua moglie, ha tradotto in italiano molte delle opere di Fernando Pessoa, ha scritto un libro di saggi e una commedia teatrale su questo grande scrittore. Ha ottenuto il premio francese “Médicis étranger” per Nocturne indien (Notturno indiano) e il premio Campiello per Sostiene Pereira.
“Sono un appassionato lettore di storie cliniche, ma non ho mai letto dei racconti psicologici così intensi come quelli narrati da Oliver Sacks nell’Uomo che scambiò sua moglie per un cappello. E’ un libro che vorrei consigliare a tutti: medici e malati, lettori di romanzi e di poesia, cultori di psicologia e di metafisica, vagabondi e sedentari, realisti e fantastici. La prima musa di Sacks è la meraviglia per la molteplicità dell’universo”. (Pietro Citati)
Avvertenza
Generazioni intere di scrittori hanno riconosciuto in Flannery O’Connor una delle voci più geniali e influenti della letteratura americana del Novecento, attribuendole un posto nella categoria degli “scrittori di culto”, uno status a cui ha contribuito il fatto di aver trascorso una vita particolarmente appartata dalla mondanità letteraria e tragicamente breve. Nata a Savannah, in Georgia, nel 1925, Flannery O’Connor si trasferisce a sette anni nella cittadina di Milledgeville, dove abiterà per tutta la vita. Nel 1947, sei anni dopo la morte del padre, lei e la madre ereditano una grande fattoria: è qui che la O’Connor mette su l’insolito allevamento di pavoni a cui si dedicherà con enorme passione e che diventerà parte integrante della sua immagine pubblica. La passione per la scrittura comincia già all’epoca del college: presso la StateUniversityof Iowa la Flanneryfrequenta corsi e laboratori di letteratura e comincia a inviare racconti alle riviste.
“Invito a una decapitazione è un violino nel vuoto. La gente di mondo lo riterrà uno scherzo. Le persone anziane gli volteranno frettolosamente le spalle preferendogli romanzi rosa di ambientazione regionale e biografie di personaggi in vista. Nessuna frequentatrice di circoli femminili fremerà d’entusiasmo. I malpensanti vedranno nella piccola Emmie una sorella della piccola Lolita, e i discepoli dello stregone viennese se la rideranno sotto i baffi nel loro grottesco mondo di sensi di colpa collettivi e di educazione progressista. Ma conosco alcuni lettori che faranno un balzo, scompigliandosi i capelli”.
“Quando mi stimai finalmente in età da poter essere grande poeta senza dar nell’occhio, allora intesi che, sia pure colle debite cautele, avrei dovuto mantenermi in esercizio e che non c’era ormai più nulla da fare. Ebbene, quello che avrei dovuto fare il canto dell’assiuolo ce lo insegna: continuare a inghiottire le notti o almeno prendermi l’impegno di parlare per loro”.