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Iosif Brodskij, “Fuga da Bisanzio”

IOSIF BRODSKIJ – Fuga da Bisanzio – Adelphi

Traduzione di Gilberto Forti

Camminare

“L’arte non è un’esistenza migliore, ma è una esistenza alternativa; non è un tentativo di sfuggire alla realtà, ma il contrario, un tentativo di animarla. È uno spirito che cerca la carne ma trova le parole”.

Per chi ama un poeta ed ha acquisito la consuetudine di ripercorrerne i versi fino al punto di sentirli realmente propri per una sorta di conquistato riconoscimento, fino al punto di giungere ad una pur minima convinzione di essere entrati in sintonia con quella splendida costruzione di allusioni – e forse anche un poco di illusioni – che è la sua poesia, poter leggere le sue prose diventa la privilegiata esperienza di poter accedere attraverso una porta spalancata ad un intero mondo fatto di pensieri, ricordi, esperienze intellettuali ed emozionali, a quel substrato insomma da cui la parola poetica trae per vie insondabili il proprio nutrimento e la propria urgenza espressiva. Oppure di essere riusciti, anche se solo per un tratto, ad intravedere l’altra faccia di un mondo, quella che si esplicita mediante la linearità sintattica della prosa ma che tradisce comunque, per intensità, profondità, complessità, capacità di cogliere ed esplicitare nessi e ramificazioni, di suggestionare e trascinare il lettore, la vitalità rigenerante della poesia.

Qries
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Iosif Brodskij, “Fondamenta degli incurabili”

IOSIF BRODSKIJ – Fondamenta degli incurabili – Adelphi

Fondamenta degli incurabili

“A poco a poco, con la lenta navigazione di una chiatta, la città si metteva a fuoco. Era in bianco e nero, come si addice a un’immagine che affiora dalla letteratura, o dall’inverno: aristocratica, un po’ fosca, fredda, in una luce scialba, con accordi di Vivaldi e Cherubini per sottofondo, con corpi femminili drappeggiati, quelli di Bellini/ Tintoretto/ Tiziano, al posto delle nuvole. E giurai a me stesso che se mai fossi riuscito a tirarmi fuori dal mio impero, per prima cosa sarei venuto a Venezia, avrei affittato una camera al pianterreno di un palazzo, in modo che le onde sollevate dagli scafi di passaggio venissero a sbattere contro la mia finestra, avrei scritto un paio di elegie spegnendo le sigarette sui mattoni umidi del pavimento, avrei tossito e bevuto; e quando mi fossi trovato a corto di soldi, invece di prendere un treno mi sarei comprato una piccola Browning di seconda mano e, non potendo morire a Venezia per cause naturali, mi sarei fatto saltare le cervella”.

Venezia è affetta da un male incurabile che contagia chiunque abbia la ventura di percorrerla, anche per poco, anche come meta di una sporadica e distratta gita, anche superficialmente attraverso i suoi luoghi più noti e risaputi, guardando con ottusa distrazione la materia di cui è fatta. Venezia è affetta dal male incurabile del suo eccessivo lirismo, della sua propensione al romanticismo più bieco e un po’ melenso. Si può partire prevenuti, si torna innamorati di lei, inevitabilmente, e, per gli spiriti più contorti, vergognosamente innamorati di lei. Come se fosse un poco indegno riconoscere di essere stati soggiogati, come tutti, dal suo fascino fulgido e un po’ decadente, dalla sua velata malinconia, da quel suo essere, come i porti di Pessoa, una malinconia di pietra. Un libro su Venezia scritto da un poeta potrebbe rappresentare quindi un pericolo ulteriore, una trappola inevitabile in cui cadere per poi trovarsi invischiati in un facile ma sporadico e momentaneo battito del cuore, in quella facile debolezza che solo superficialmente assomiglia all’ansito e alla potenza della vera poesia. Se questo poeta non fosse un russo, se non fosse Iosif Brodskij, se il suo omaggio a Venezia non fosse in realtà l’esito di una storia fatta di lontane suggestioni, di testarda determinazione e, infine, di pervicace consuetudine. Non un’illuminazione quindi ma una conquista, non una meta ambita ma una reale scelta di vita determinata per quanto possibile al radicamento. Perché questo succede quando un luogo diventa realmente luogo dell’anima, lo si vorrebbe possedere, ed il desiderio di possesso genera per sua natura uno sguardo diverso.

Qries