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Zoderer, “L’Italiana”

JOSEPH ZODERER – “L’Italiana” – Arnoldo Mondadori Editore

Zoderer ha scritto un romanzo che ha come protagonista l’estraneità, il senso della non appartenenza, l’isolamento al limite della totale segregazione, che appare tanto più irrimediabile quando viene avvertito in opposizione, in contrasto, alla socialità, alle reti di relazioni, apparentemente facili e “naturali”, in cui gli altri sembrano essere immersi. Zoderer ha scritto un romanzo che è nostalgia di quell’”heimat”, quella casa, quel luogo natìo, quel territorio in cui ci si sente a casa proprio perché vi si è nati, vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. La protagonista di “L’italiana” sperimenta lo sradicamento di chi non possiede neppure questa nostalgia ed è in grado solo di capire razionalmente il significato dell’heimat, ma non di sentirlo emozionalmente.

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Biamonti, “L’angelo di Avrigue”

FRANCESCO BIAMONTI – “L’angelo di Avrigue” – Einaudi

“Una luce radente spianava il mare e lo sollevava nelle insenature; anche al largo esso si alzava sino a cozzare contro il cielo. Un altro mare, d’ombra, scendeva dalle catene rocciose”.

“Gli alberi…se lo sguardo potesse fermarvisi, sarebbero di nuovo un austero approdo in confronto a quel mare alto e muto come un cielo”.

“La collina era irruvidita nel lungo tramonto. La notte non riusciva a toccare gli ulivi soprani trasformati in vaste farfalle nere. Era arrivata una di quelle tristissime sere in cui sul mare si sentiva lo stridio del ferrame”.

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Bompiani, “L’attesa”

GINEVRA BOMPIANI – “L’attesa” – et al.

Non conoscevo Ginevra Bompiani prima di leggere questo libretto. Ora so che, oltre ad essere una raffinata scrittrice, apprezzata da Calvino e da Giorgio Agamben, è anche la fondatrice, insieme a Roberta Einaudi, della casa editrice nottetempo (alla quale, tra le altre cose, riconosco con gratitudine il merito di aver pubblicato l’epistolario Bachmann/Celan che ho da poco terminato). La Bompiani affronta il tema dell’attesa, riconoscendolo come uno degli aspetti fondamentali dell’esistenza, e dando alla sua trattazione un impianto filosofico, che ha la sua origine e i suoi punti cardine nel pensiero di Wittgenstein. Ciò che, a mio parere, rende questo libro prima di tutto leggibile anche da parte di chi non abbia una specifica preparazione filosfica e, in secondo luogo, affascinante per il lettore appassionato, è la scelta da lei compiuta, di affidare proprio alla Letteratura il compito di fornire spunti all’argomentazione dei vari passi attraverso i quali va formandosi la sua riflessione. L’autrice fornisce in questo modo al lettore l’occasione di rileggere testi noti che va via via citando, alla luce del suo specifico taglio interpretativo, e, come è stato nel mio caso, di trovare spunti interessanti per futuri percorsi di lettura.

 

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Samonà, “Casa Landau”

CARMELO SAMONA’ – “Casa Landau” – Garzanti

Dopo aver letto “Fratelli” nell’edizione Sellerio, che comprende anche il racconto “L’esitazione”, e “Il custode”, con “Casa Landau” completo la conoscenza della purtroppo esigua produzione narrativa di Carmelo Samonà. (Mi restano da cercare, per completezza oltre che per necessità, il testo teatrale “Ultimo seminario” e le ultime prose “Cinque sogni”). Tre romanzi brevi ed un racconto che sono ampiamente sufficienti per rendere Samonà riconoscibile agli occhi e alla memoria del lettore, sia per tematiche ed atmosfere, che per l’impronta di una prosa linguisticamente ricca, allusiva ed evocativa. Un’opera unitaria quindi, dove situazioni, personaggi, racconto e scrittura costituiscono i lineamenti di una personalità e di uno stile originali e inconfondibili.

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Zzywwurath, “Diario della letteratura perduta”

ADAN ZZYWWURATH – “Diario della letteratura perduta” – Manifestolibri

Ho conosciuto Adàn Zzywwurath, pseudonimo di Franco Porcarelli, per aver letto di lui e del suo libro in quella collezione ordinata e catalogata di scrittori che è “I demoni e la pasta sfoglia” di Michele Mari. Qui si parla di un talento narrativo lussuoso e di letteratura fantastica allo stato puro. L’edizione in mio possesso (il libro non è di facile reperibilità) comprende sia “Il matrimonio del mare e dell’inferno” che la raccolta di racconti “Diario della letteratura perduta”. Il romanzo si colloca all’interno della tradizione della narrativa di mare, anzi, come dice Mari, testimonia “un consenso quasi religioso ai topoi della narrativa di mare”, non solo traendo spunto dai contenuti classici dei romanzi di Conrad, Stevenson, Melville e Verne, ma ricreandone anche ambientazioni ed atmosfere. Non mancano incursioni nei territori dell’orrore che suggeriscono debiti dai mondi letterari di Poe e di Lovecraft.

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Bompiani, “Le specie del sonno”

GINEVRA BOMPIANI – “Le specie del sonno” – Quodlibet

“Niente è per l’uomo più difficile che guardare un albero senza amore, una campagna senza gelosia, un brandello di schiuma senza desiderio; niente gli è più alieno che l’assenza di lacerazione tra diverse specie di amore; voglie e nostalgie si contendono i suoi passi come mendicanti spagnoli appesi alle vesti; e se, con un gesto negligente, li scrolla da sé, ecco apparire all’orizzonte un nugolo di polvere (cavalieri? bufali? mulinelli?) che subito affretta il suo passo e lo trascina, innocente, verso una morte perversa”. (pag. 46)

Riporto uno dei tanti passi di questo libro che racchiude in sé l’essenza della prosa della Bompiani: alta, quasi aulica, armoniosa, basata su una scelta lessicale colta e insieme densa, attenta al ritmo, mai scontata, curata nelle sue mille sfumature.

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Trevisan, “I quindicimila passi”

 VITALIANO TREVISAN – “I quindicimila passi” – Einaudi

“Me ne vado, lascio per sempre alle mie spalle tutto questo schifo cattolico democratico artigiano industriale. Lascio per sempre questo disgustoso buco di provincia, pieno solo di persone ottuse pericolose e pericolosamente malvagie”.Una società bigotta e chiusa nel proprio egoismo. Una tradizione culturale segnata dall’impronta reazionaria del cattolicesimo. Un paesaggio naturale deturpato dalla stupidità dell’uomo. Uno stile di scrittura che insiste con foga ripetitiva sulle ossessioni del protagonista di nome Thomas. Il romanzo di Vitaliano Trevisan è profondamente debitore dell’opera di Thomas Bernhard. Il Veneto descritto nel libro è parente prossimo dell’Austria “infelix” del grande scrittore di Salisburgo. E Trevisan, con la sua spietata urgenza di mettere a nudo l’insensatezza che domina le azioni dell’uomo, non ce lo fa mai rimpiangere. Dedicato a chi ha ancora voglia di un libro “scomodo”.

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Tabucchi, “Sostiene Pereira”

ANTONIO TABUCCHI – “Sostiene Pereira” – Feltrinelli

Antonio Tabucchi insegna Lingua e Letteratura Portoghese all’Università di Siena. Legato da un amore viscerale al Portogallo, è il maggior conoscitore, critico e traduttore dell’opera dello scrittore Fernando Pessoa, dal quale ha attinto i concetti della saudade, della finzione e degli eteronimi. Tabucchi conosce l’opera di Pessoa negli anni sessanta, durante le sessioni che frequenta alla Sorbona, ne rimane talmente affascinato che, tornato in Italia, frequenta un corso di lingua portoghese per comprendere meglio il poeta. I suoi libri e saggi sono stati tradotti in 18 paesi, compreso il Giappone. Con María José de Lancastre, sua moglie, ha tradotto in italiano molte delle opere di Fernando Pessoa, ha scritto un libro di saggi e una commedia teatrale su questo grande scrittore. Ha ottenuto il premio francese “Médicis étranger” per Nocturne indien (Notturno indiano) e il premio Campiello per Sostiene Pereira.

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Parise, “Sillabari”

GOFFREDO PARISE – “Sillabari” – Adelphi

Avvertenza

Nella vita gli uomini fanno dei programmi perché sanno che, una volta scomparso l’autore, essi possono essere continuati da altri. In poesia è impossibile, non ci sono eredi. Così è toccato a me con questo libro: dodici anni fa giurai a me stesso, preso dalla mano della poesia, di scrivere tanti racconti sui sentimenti umani, così labili, partendo dalla A e arrivando alla Z. Sono poesie in prosa. Ma alla lettera S, nonostante i programmi, la poesia mi ha abbandonato. E a questa lettera ho dovuto fermarmi. La poesia va e viene, vive e muore quando vuole lei, non quando vogliamo noi e non ha discendenti. Mi dispiace ma è così. Un poco come la vita, soprattutto come l’amore.

Gennaio 1982                                                                                       Goffredo Parise

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Landolfi, “Dialogo dei massimi sistemi”

TOMMASO LANDOLFI – “Dialogo dei massimi sistemi” – Adelphi

“Quando mi stimai finalmente in età da poter essere grande poeta senza dar nell’occhio, allora intesi che, sia pure colle debite cautele, avrei dovuto mantenermi in esercizio e che non c’era ormai più nulla da fare. Ebbene, quello che avrei dovuto fare il canto dell’assiuolo ce lo insegna: continuare a inghiottire le notti o almeno prendermi l’impegno di parlare per loro”.

 Tommaso Landolfi nasce nel 1908 a Pico Farnese (ora in provincia di Frosinone) da famiglia nobile. Nel 1932 si laurea in lingua e letteratura russa all’Università di Firenze discutendo una tesi sulla poetessa Anna Achmatova. Sempre a Firenze collabora a diverse riviste quali “Letteratura” e “Campo di Marte”. Più tarde sono invece le collaborazioni con il “Mondo” di Pannunzio e il Corriere della Sera. Fatta eccezioni per brevi soggiorni all’estero, la vita di Landolfi si svolge per lo più tra Roma, le case da gioco di San Remo e Venezia e la residenza di famiglia a Pico Farnese. Nonostante un’esistenza appartata e lontana dai salotti intellettuali e mondani, il suo lavoro è riconosciuto da Eugenio Montale e Italo Calvino, che ne curerà una antologia nel 1982. Dal 1992, le maggiori opere, pubblicate in precedenza da Vallecchi ed altri editori e ormai fuori catalogo, vengono ripubblicate dalla casa editrice Adelphi per la cura di Idolina Landolfi, figlia dell’autore.

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